Diffamazione on line: e’ responsabile solo l’utente o anche il gestore del singolo sito o del “social”?

Diffamazione on line: e’ responsabile solo l’utente o anche il gestore del singolo sito o del “social”?
23 Gennaio 2017: Diffamazione on line: e’ responsabile solo l’utente o anche il gestore del singolo sito o del “social”? 23 Gennaio 2017

L’art. 595 c.p. punisce la condotta di chi, comunicando con più persone, volontariamente offende l’altrui reputazione. La libertà di pensiero, infatti, garantita a livello costituzionale dall’art. 21 Cost., incontra quale limite naturale il rispetto dell’altrui persona, ossia il dovere di non ledere con il proprio comportamento l’altrui  onore, decoro e reputazione. A ciò si aggiunga che il delitto di diffamazione, qualora venga perpetrato per il tramite di internet, costituisce un’ipotesi di reato aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, c.p.. La “rete”, infatti, al pari della stampa, della radio e della televisione, è mezzo idoneo a determinare la diffusione di notizie, immagini ed idee tra un numero indeterminato o quantitativamente apprezzabile di persone (cfr., tra le altre, Cass. Pen., Sez. I, sentenza 28 aprile 2015 n. 24431). In quest’ultimo caso, però, la diffusione di frasi ed espressioni offensive viene spesso tollerata o agevolata da chi gestisce lo spazio virtuale stesso (Sito internet, web, social e via dicendo). Posta, pertanto, la primaria ed indiscutibile responsabilità penale dell’utente che introduce un contenuto offensivo in rete, può essere chiamato a risponderne in solido anche il soggetto che gestisce quello spazio pubblico? Sul punto il Legislatore non è ancora intervenuto con regole uniformi. La regolamentazione di questo particolare settore, pertanto, è attualmente affidata alla prassi giurisprudenziale, che però è risultata poco coerente. Di recente, infatti, la Suprema Corte ha espresso in immediata successione orientamenti contrastanti. Dapprima, nel dicembre del 2016, i Giudici di Piazza Cavour hanno affermato che il gestore di un Sito web che non rimuova il contenuto diffamatorio pubblicato dall’utente deve rispondere in concorso con quest’ultimo del delitto di cui all’art. 595 c.p. (cfr. Cass. Pen., Sez. V, sentenza 14 luglio 2016 – 27 dicembre 2016 n. 54946). Nel caso di specie, infatti, l’utente di un Sito internet di calcio dilettantistico aveva caricato autonomamente un articolo contenente epiteti offensivi nei confronti di un dirigente della Lega Calcio. Il gestore del Sito, però, pur non avendo partecipato concretamente alla fase di upload, era venuto a conoscenza della presenza dell’articolo diffamatorio per esserne stato informato tramite email dall’autore stesso. La Corte di Cassazione, pertanto, confermando la sentenza emessa dalla Corte di Appello, ha ritenuto sussistente un concorso del gestore del Sito nella commissione del reato di diffamazione on line: nonostante l’articolo incriminato fosse stato pubblicato da altro utente, infatti, l’imputato lo aveva consapevolmente mantenuto, in tal modo consentendo che lo stesso esercitasse efficacia diffamatoria. Ad opposte conclusioni, invece, è pervenuta a distanza di pochi giorni – tenendo conto del deposito delle motivazioni – la prima Sezione della Cassazione. Nella sentenza n. 50/17, infatti, la Suprema Corte non ha considerato rilevante l’eventuale  corresponsabilità di Facebook nella pubblicazione di contenuti diffamatori sul “social” (cfr. Cass. Pen., Sez. I, sentenza 2 dicembre 2016 – 2 gennaio 2017 n. 50). Si precisa, peraltro, che trattasi di un contenuto implicito della sentenza - la quale si è occupata del diverso profilo della sussistenza dell’aggravante prevista dall’art. 595, comma terzo, c.p. - ma che si pone in conformità ad altre più datate pronunce di merito (cfr., tra le altre, Corte di Appello di Milano, sentenza 27 febbraio 2013 n. 8611). In conclusione, la sussistenza di una responsabilità del gestore del Sito internet o del “social”, concorrente con quella dell’utente che ha introdotto in rete contenuti diffamatori, non appare certa nemmeno nelle aule dei Tribunali. Si avverte, pertanto, la necessità e l’urgenza di un intervento legislativo organico in un settore in cui il diritto penale vivente non è ancora approdato a conclusioni univoche.

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